IL CADORE DEGLI EMIGRANTI
E' il titolo di un'interessante pubblicazione di Gianni Pais Becher, scrittore e guida alpina di Auronzo, di cui pubblichiamo l'introduzione curata dallo stesso autore
Gianni Pais Becher vive ad Auronzo di Cadore, in provincia di Belluno. Scrittore, ricercatore e guida alpina, mettendo insieme le sue grandi passioni, ha realizzato reportage di viaggio pubblicati in note riviste specialistiche e numerosi filmati, guide e pubblicazioni, tradotte anche in lingua straniera. Il suo grande interesse per i luoghi e la cultura di diversi popoli che abitano le montagne del mondo (dalla Groenlandia al Tibet, dalla Mongolia al Perù), non gli ha impedito di "esplorare" anche il passato della sua gente e della sua terra, indagando a fondo la memoria degli anziani. L'entusiasmo per la ricerca lo hanno portato a compiere un viaggio, durato oltre un decennio, sulle tracce degli emigranti cadorini e dagli incontri con le donne e gli uomini che lasciarono le Dolomiti per attraversare l'oceano, dalle loro testimonianze, lo stesso Pais Becher ha scoperto un Cadore che non conosceva. Quel Cadore che ha raccontato nelle pagine di un libro, di cui proponiamo l'introduzione dello stesso autore.
L'idea di recuperare la memoria degli anziani emigrati dal Cadore verso le Americhe, l'Australia e la Nuova Zelanda, mi è venuta in mente dopo alcuni viaggi compiuti negli Stati Uniti d'America, dove ho incontrato centinaia di famiglie di origine cadorina che mi hanno stupito per la profonda conoscenza della storia, della cultura e delle tradizioni, con racconti ricchi di memorie inedite.
Le loro testimonianze mi hanno affascinato ed arricchito interiormente, caricandomi dell'entusiasmo necessario per intraprendere un lungo e difficile lavoro di ricerca durato oltre un decennio, che mi ha portato ad approfondire alcuni aspetti del contesto storico e culturale del Cadore che non conoscevo.
Molti emigranti che ho incontrato negli anni 80 sono nel frattempo scomparsi, ma sono rimasto in contatto con i loro discendenti, con i quali ho intessuto una fitta rete di corrispondenza.
Mentre scrivo queste righe mi giunge notizia della scomparsa di Vivian Vecellio None che nel 1988 mi ha ospitato nella sua casa con l'affetto di una madre. La sua morte segue quella di Maria Vecellio del Monego alla quale ero molto legato: ambedue risiedevano a Lewis Run in Pennsylvania.
A loro e a tutti coloro che mi hanno aiutato nelle ricerche per la compilazione di questo volume, vadano i miei più vivi ringraziamenti e l'affetto sincero. Un particolare ricordo va a Antonia (Nina) Zandegiacomo Marzer, morta nel 1996 a Bradford Pa. all'età di 106 anni e alla figlia novantenne Clarina Vecellio None.
Da quando, nel 1987, ho compiuto il primo viaggio sulle tracce degli emigranti cadorini in America, Clarina mi aggiorna settimanalmente sulla situazione degli emigrati a Bradford e Lewis Run Pa. Lei conosce il giorno esatto in cui "l'saroio pasa la sesia de San Roche", lei mi avverte dello sbocciare delle viole, dei mughetti o dei ciclamini, come se il profumo di quei splendidi fiori arrivasse fino in Pennsylvania…Clarina, anima sensibile che ama e conosce la sua terra d'origine meglio di molti che la abitano!
E a Luigi Coletti nato a Tai di Cadore nel 1926. Aveva solo tre anni quando fu costretto a emigrare con la famiglia in Francia, dove si ritrovò appena quattordicenne orfano e solo a girovagare per le macerie di Marsiglia bombardata dagli inglesi e dagli americani. Rientrò in Italia ma dopo alcuni mesi decise di ritornare in Francia, da dove emigrò in Algeria. Vi rimase solo un paio d'anni, poi lasciò l'Africa per approdare in Canadà come meccanico specializzato. Dal Canadà emigrò negli USA dove risiede tuttora. E' cittadino americano ma parla molto bene il Ladino cadorino. Arrivato in Italia per un periodo di vacanze, venuto a conoscenza delle mie ricerche, è venuto a trovarmi per raccontarmi le sue vicende.
Tutti, nessuno escluso, si sono dimostrati veri figli del Cadore, terra che hanno dovuto abbandonare a malincuore per cercare altrove il sostentamento alle loro famiglie. Con alcuni di loro ho mantenuto i rapporti attraverso una fitta corrispondenza e una lunga serie di telefonate, poi, appreso l'uso del computer e di internet, ho raccolto i loro indirizzi e - mail e gli ho contattati attraverso la posta elettronica e le chat lines.
In questo modo e tramite alcuni viaggi effettuati negli Stati Uniti ed in America Latina (l'ultimo nell'autunno del 1999), ho potuto raccogliere le preziose testimonianze sulla memoria dei loro avi, che emigrati in terre lontane hanno conservato gelosamente il patrimonio culturale e storico della terra d'origine.
Patrimonio ereditato oralmente, generazione dopo generazione, e conservato gelosamente senza passare attraverso i filtri della trasformazione intervenuta in Cadore, dove l'identità contadina e montanara, ricca di cultura e tradizioni che traggono origine da lontane epoche protostoriche, è stata accantonata, per far posto a una monocultura industriale avulsa dalla nostra realtà socio - economica.
L'industria degli occhiali ha assorbito la quasi totalità delle forze economiche e intellettuali del Cadore, penalizzando il turismo e l'artigianato locale e causando l'abbandono delle secolari attività agricole e silvopastorali e il conseguente deterioramento dell'ambiente naturale. Vendute le mucche, le capre e le pecore, abbandonate le malghe ed i pascoli, trascurati i boschi e i prati, svenduti i terreni alla speculazione edilizia, bruciate le vecchie foto, distrutti i preziosi attrezzi ed oggetti della cultura montanara, molti si sono gettati a capofitto nel miraggio industriale, che dopo un iniziale euforia generale ora dà consistenti segni di cedimento.
Per questo motivo la memoria degli emigranti è risultata essere molto preziosa. Soltanto chi ha dovuto abbandonare per sempre il paese natio, ricorda con nostalgia la terra d'origine com'era prima della trasformazione industriale. Soltanto loro hanno conservato documenti, foto d'epoca, memorie storiche, tradizioni, leggende, filastrocche, detti e proverbi, con la nostalgia e l'orgoglio di chi è cosciente di avere le radici in uno degli ambienti naturali più belli del mondo: tra le Crode del Cadore.
Il Popolo Cadorino ha dovuto convivere con l'emigrazione fin dall'antichità, dapprima come ricerca di lavoro stagionale verso la pianura Veneta, l'Istria, il Tirolo, la Carinzia, la Slovenia, la Croazia, l'Ungheria, la Germania, la Francia, il Belgio e la Svizzera, poi con un esodo senza ritorno che ha privato la nostra terra della gente più forte e più coraggiosa.
Fin dal 1600 si ha notizia di Cadorini che giravano per le contrade d'Europa e dell'Est Europeo come finestrai, calderai, arrotini, seggiolai, carbonai, muratori e come minatori. Andavano di paese in città, di casa in casa ad offrire le loro arti, i loro mestieri e ritornavano a casa giusto in tempo per il periodo della semina nei campi e della fienagione.
A quei tempi i campi del Cadore producevano frumento, segala, orzo, farro, avena, fava, fagioli, piselli, grano saraceno, granoturco, lino, canape, lenticchie, barbabietole e lattughe di ogni tipo. Vangavano i campi, ne sistemavano i perimetri, aravano, seminavano, falciavano l'erba e subito dopo si preparavano a ripartire. Messo in spalla il bastone alla cui estremità era appeso un fagotto contenente i pochi capi personali e i ferri del mestiere, a piedi, i più fortunati in groppa a un cavallo, passavano il confine e attraverso strade e sentieri conosciuti si spingevano lontano a riprendere il loro lavoro. Coloro che rimanevano a casa provvedevano a pascolare gli animali, a lavorare nei boschi e a fornire manodopera per le miniere.
Nel 1812 i residenti in Cadore erano 24600. Questi allevavano 12000 bovini, 18000 pecore, 7500 capre e 500 suini. Nel 1869 i residenti erano quasi raddoppiati, 41297 abitanti stabili ( Cortina d'Ampezzo inclusa), e 6410 emigrati, una percentuale altissima che conferma quanto il fenomeno migratorio fosse diffuso.
Non è possibile indagare a fondo la storia dell'emigrazione dal Cadore perchè troppo articolata e complessa, basti pensare che alcuni emigranti cadorini si sono spinti perfino in Siberia a costruire la Transiberiana. Ma il grande esodo doveva ancora cominciare: verso il 1875 dagli Stati Uniti e dall'America Latina giunse anche in Cadore la richiesta di boscaioli, minatori, muratori ed addetti all'agricoltura. Con l'arrivo dei medici condotti, la mortalità infantile, che a quei tempi era una delle maggiori cause di morte, diminuì notevolmente, con il conseguente incremento della popolazione. Le bocche da sfamare erano aumentate, le Crode non davano prodotti sufficienti per tutti, il turismo non esisteva ancora e tranne alcuni addetti nelle miniere e nelle segherie, l'industria era praticamente inesistente.
Gli uomini si ritrovavano nelle piazze dei villaggi a discutere, a cercare insieme una via d'uscita alla povertà e alla fame. Quando alla sera rientravano a casa, davanti agli occhi imploranti dei loro bambini con la pancia vuota, provavano vergogna e imbarazzo,
E allora decisero a malincuore di lasciare le famiglie, le case, i boschi e le Crode per andare a spezzarsi la schiena nelle foreste della Pennsylvania e dello Stato di New York, nelle miniere di carbone del Michigan, della Virginia, del West Virginia e del Minnesota, nei campi assolati del Brasile del Venezuela e dell'Argentina. Attraversarono l'oceano Atlantico stipati nei bastimenti carichi di gente con gli occhi colmi di disperazione e di speranza per un futuro migliore.
Durante la navigazione fecero amicizia con altri Italiani che parlavano idiomi differenti dal loro: sul bastimento si sentiva l'intercalare dei Veneti, dei Friulani, degli Abruzzesi, dei Calabresi e dei Siciliani, tutti figli della stessa nazione ma con lingua, cultura e tradizioni completamente diverse.
Ma si sentivano accomunati dalla stessa povertà, dalla stessa speranza di un futuro migliore, sia per loro, sia per i familiari rimasti in patria. Una volta giunti in terra straniera, consapevoli che uniti era più facile sopravvivere, fondarono Cooperative di Lavoro e di Consumo, Società Operaie di Mutuo Soccorso e persino interi villaggi.
Nel New Jersey, a Clifton e dintorni, gli emigrati della Valle del Boite, soprattutto di San Vito di Cadore fondarono una Cooperativa, costruirono una scuola e una bellissima chiesa, che si incendiò ma che ricostruirono più grande e più bella di prima. A Bradford e Lewis Run in Pennsylvania, gli auronzani fondarono un Società Operaia di Mutuo Soccorso e ancora oggi ci sono più Vecellio sul elenco telefonico di quell'area, che quelli residenti in tutto il Cadore. A Lewis Run la via principale ( la Main Street), è abitata esclusivamente da famiglie di Auronzo. Nel 1987 quando mi sono recato là per la prima volta, entravo e uscivo da una casa all'altra, sempre parlando in lingua Ladina per giorni interi e mi pareva di non avere mai abbandonato il paese natio, di non trovarmi negli Stati Uniti d'America.
Negli USA ho ascoltato i racconti orgogliosi di chi ha partecipato alla costruzione dei primi grattacieli di New York, del Ponte di Brooklyn, delle prime auto della Ford. Ma anche molte grida di dolore di discendenti di emigranti che sono morti con la nostalgia del Cadore nel cuore, consapevoli di non essere riusciti ad avverare le loro speranze, i loro sogni di un avvenire migliore.